lunedì 7 dicembre 2009

La sinistra europea senza idee né progetti

Il socialismo europeo sta attraversando una crisi profonda. Se lasciamo da parte le socialdemocrazie dei pae si scandinavi, dove la conlittualità sociale è meno acuta, e i neonati partiti socialisti dell’Europa dell’est, possiamo constatare che negli altri casi – Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia – i partiti socialisti vivono un periodo di grandi diicoltà. L’unica eccezione è la Spagna. In Francia la crisi è cominciata nel 2000 con il fallimento dell’esperimento della “sinistra plurale”. Alle politiche per il rilancio dell’economia del 1997 è seguita una linea più liberista a partire dal 1999. Lionel Jospin, allora leader socialista e primo ministro, è stato il simbolo di questo cambiamento di rotta. Quando la multinazionale all’aumento dell’astensionismo elettorale. In Gran Bretagna il simbolo del fallimento del New Labour è stata l’uscita di scena del suo ideatore, Tony Blair. A conti fatti, la tanto celebrata terza via non è stata altro che una riproposizione, più edulcorata e ammiccante, del thatcherismo, basato sullo smantellamento dei servizi pubblici e sulle privatizzazioni. Oggi il Partito laburista è in caduta libera. Durante l’ultimo congresso il leader Gordon Brown ha proposto un welfare state alternativo, fondato su un “nuovo modello economico, sociale e politico” e sulla “regolamentazione del mercato”. Ma non ha speciicato da dove dovrebbero arrivare le risorse per inanziare il suo progetto e non ha chiarito come intende convincere le classi medie, che chiedono più stato sociale e meno tasse allo stesso tempo. La Gran Bretagna non fa parte della zona euro e perciò ha più libertà nella gestione del debito pubblico e del deicit di bilancio, che hanno toccato rispettivamente l’80 e il 12,4 per cento del pil. Ma il numero dei disoccupati, che sono già tre milioni, è destinato ad aumentare: senza incentivi iscali e senza nuovi aumenti della spesa pubblica sembra impossibile salvare i posti di lavoro. Da Roma a Berlino In Italia la sinistra socialista si è disgregata negli anni novanta ed è stata risucchiata in un buco nero. La nascita del Pd, con l’alleanza tra ex comunisti e parte della Democrazia cristiana, ha avuto due conseguenze negative: la scomparsa del socialismo, inteso come progetto politico e ideologico, e la creazione di un ampio bacino elettorale per il populismo reazionario di Silvio Berlusconi. L’attuale crisi del berlusconismo più che giovare alla sinistra sta mettendo in evidenza la sua debolezza. In Germania il Partito socialdemocratico (Spd) è in crisi dal 2000, quando uno dei suoi leader, Oskar Lafontaine, riiutò di appoggiare la svolta liberista di Gerhard Schröder. Nel 2005 l’Spd ha perso le elezioni e ha accettato di formare un governo di coalizione con i cristianodemocratici Internazionale 823
27 novembre 2009 19 (Cdu). Abituati a tessere alleanze con la destra, i socialdemocratici non hanno saputo proporre soluzioni credibili di fronte alla crisi e oggi sono il partito della sinistra europea in maggiore diicoltà. Oltre a subire la spaccatura voluta da Lafontaine, fondatore del partito di sinistra Die Linke, dal 1998 l’Spd ha perso circa dieci milioni di voti, anche a favore di verdi, liberali e cristianodemocratici, e la recente elezione alla presidenza di Sigmar Gabriel, un centrista senza un proilo ideologico deinito, non sembra suiciente a cambiare le cose. Un nuovo welfare Questa breve panoramica ci permette di individuare alcune tendenze di fondo. Prima di tutto i partiti socialisti occidentali negli anni novanta hanno accettato di adattarsi alla globalizzazione, scegliendo la cosiddetta terza via: non solo non hanno oferto un progetto alternativo al loro elettorato tradizionale (le classi medie e popolari), ma non hanno nemmeno compreso tutte le conseguenze della loro scelta. In questo modo sono diventati più aidabili dal punto di vista governativo, ma hanno smarrito gran parte della loro identità. Da qui deriva il paradosso attuale: i partiti socialisti sono travolti dalla crisi del liberalismo, mentre la destra liberale non esita ad applicare le ricette tradizionali del welfare per afrontare la recessione. In altri termini la destra si sta dimostrando più pragmatica della sinistra che, abbandonate le idee socialiste, si è ciecamente aidata alle virtù del social-liberismo. In Europa occidentale, inoltre, le forze di sinistra sono incapaci di reagire di fronte allo spostamento a destra della società: un fenomeno che è il risultato dell’instabilità creata dalla deregulation economica e sociale degli ultimi anni e che si traduce in una forte domanda di sicurezza (sociale, economica e identitaria) e in un ritorno al nazionalismo. Queste due tendenze di fondo, presenti ovunque in Europa, mettono a nudo la grave crisi d’identità della socialdemocrazia, ormai priva di un progetto speciico. In questi ultimi 15 anni la vittoria del liberismo non è stata solo economica, è stata soprattutto ideologica e culturale. La sinistra non sembra avere più gli strumenti, i metodi o la visione per interpretare il mondo e per agire. E ha sempre maggiore diicoltà a diferenziarsi dalla destra. Questa mancanza di progetti e idee viene mascherata da una retorica fondata sulla difesa dei suoi valori tradizionali: la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà e la tolleranza. Il punto è che i partiti socialisti sembrano ricordarsi dell’importanza di questi valori solo quando sono all’opposizione per dimenticarsene quando vanno al governo. I socialisti europei si trovano di fronte a un bivio cruciale: o mettono a punto un progetto credibile o sono destinati a scomparire lentamente. Che fare di fronte alla crisi della globalizzazione? Come reagire al riiuto degli europei nei confronti del liberismo? Come afrontare la delusione e lo scetticismo delle classi popolari e medie? La nascita di un nuovo welfare europeo, oggi più necessario che mai, dipende dalle risposte che la sinistra europea riuscirà a dare a queste domande. s b



L’AUTORE Sami Naïr è un politologo francese di origine algerina. Insegna all’università Paris VIII e collabora con diversi giornali europei, tra cui El País e Libération.



di Sami Naïr, «El País», Spagna da «L'Internazionale»

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