lunedì 16 novembre 2009

La «borghesia camorristica»?Esiste, ma nessuno ne parla


L’attenzione sull’importanza della criminalità dei potenti nell’interpretazione dei processi d’istituzionalizzazione della camorra e la legittimazione che il fenomeno criminale riceve in forme dirette e indirette da ampi settori della borghesia dell’area metropolitana napoletana non ha la stessa radicalità e continuità interpretativa che registriamo, invece, a proposito della «borghesia mafiosa». La domanda, allora, non è peregrina: perché? (…) Perché non si è radicata anche per l’organizzazione criminale camorrista una tradizione di studi (e di indirizzo investigativo) capace di spiegare e interpretare qual è il ruolo che segmenti di ceto professionale, imprenditoriale, burocratico, tecnico — insomma quella che a ragione si può definire borghesia camorristica ha storicamente avuto nel garantire alla camorra la sua riproducibilità? Le ragioni di questo ritardo sono ascrivibili sia ad una sorta di defezione sistematica sul tema della camorra, della sua cultura, delle sue commistioni da parte delle grandi dottrine quali il liberalismo e il cattolicesimo, sia alle ondivaghe posizioni della sinistra che ha oscillato tra le cristallizzazioni o distorsioni interpretative e i lunghi silenzi sul fenomeno. (...) Le connessioni tra esponenti della borghesia e gruppi criminali della camorra sono state addirittura spesso negate o sottovalutate, nonostante il dominante originario carattere urbano del fenomeno criminale esponesse tali componenti a relazioni sociali trasversali, al punto che la consapevolezza dell’esistenza di questo intrigo collusivo veniva già manifestata nel 1901 da Saredo il quale parlava di «bassa» e «alta» camorra, quest’ultima «costituita dai più scaltri ed audaci borghesi».

«L’alta camorra»
La percezione distorta della delittuosità consiste, principalmente, o nel vincolarla alle classi sociali caratterizzate da precarietà economica o a quelle élitarie L’attenzione sull’importanza della criminalità dei potenti nell’interpretazione dei processi d’istituzionalizzazione della camorra e la legittimazione che il fenomeno criminale riceve in forme dirette e indirette da ampi settori della borghesia dell’area metropolitana napoletana non ha la stessa radicalità e continuità interpretativa che registriamo, invece, a proposito della «borghesia mafiosa». La domanda, allora, non è peregrina: perché? (…) Perché non si è radicata anche per l’organizzazione criminale camorrista una tradizione che appaiono molto distanti dall’osservatore medio. È così che si rende assente, svanisce quella vasta «area grigia» che ospita svariate figure professionali, funzionari pubblici, amministrativi, consulenti tecnici, esponenti del mondo delle banche, delle finanziarie, del mondo accademico, imprenditori. E ancora, operatori e intermediari economici le cui ascese sociali si fondano su un modus operandi irregolare e su attività illecite, nuove figure professionali legate alla classe dei servizi pubblici e privati e che offrono servizi alle organizzazioni malavitose; non di rado, anche membri delle forze dell’ordine e della magistratura. (...) Relativamente al contesto napoletano proprio la miriade di attività economiche illegali, para-legali, sommerse, illecite che consentono di produrre, commercializzare e consumare beni collocabili sui diversi mercati (legale, illegale e criminale) favorisce l’intreccio delle collusioni, delle cooperazioni e degli scambi con esponenti delle classi borghesi locali, o addirittura è un fattore di spinta, al punto da potersi legittimamente parlare di «borghesia camorristica ». Il radicamento dei gruppi e delle organizzazioni camorristiche, pertanto, non deriva soltanto dai rapporti sociali che esse hanno sviluppato all’interno della plebe, delle classi marginali ed economicamente deboli; non è solo il prodotto di un inquinamento delle subculture devianti, ma dipende anche dalla capacità nel tempo di evolvere le relazioni fiduciarie e di scambio in direzione di una configurazione sociale trasversale alle classi e ai ceti economici, in modo da costituire un blocco sociale che ha avuto un ruolo decisivo nei processi di accumulazione delle differenti risorse e nei rapporti sociali. (...) L’esistenza di un’economia camorristica, ossia un’economia fondata sulla vasta gamma delle attività produttive illegali e criminali intanto ha assunto un peso ed un’evoluzione imprenditoriale tale da giovarsi, oramai, di investimenti e transazioni operate anche sui mercati legali perché usufruisce dell’apporto della borghesia camorristica e con questa intreccia relazioni che non sono solo il prodotto di «deviazioni professionali», ma il risultato di una stabile rete di scambi e commistioni confusive utilizzate specialmente nella fase «matura» dell’accumulazione, quando, cioè è necessario investire parte del capitale circolante nelle attività legali. Questo è il momento in cui gli effetti di alterazione del tessuto economico legale si propagano e si avvertono in misura crescente fino ad assumere un carattere distorsivo dei processi di sviluppo economico.

Sistemi e tipi di mercato
È fuorviante ritenere che i gruppi criminali prosperino solo perché si diffondono i mercati criminali o perché attraverso la forza intimidatoria i sodalizi mafiosi riescono ad imporsi sia nelle attività economiche che in quelle commerciali legali. In realtà tre condizioni strutturali hanno modificato le ragioni della vincente espansione del crimine organizzato in Campania: l’espansione del mercato politico, ossia l’aumento delle risorse che vengono mobilitate in forme dirette o indirette dalle istituzioni politico-amministrative; la dinamica collusiva tra ceto imprenditoriale ed organizzazioni del crimine basata su relazioni di scambio incentrate ormai sull’offerta di servizi alle imprese e opportunità vantaggiose (come l’affaire rifiuti ha dimostrato) che accrescono in forma indiretta gli utili delle imprese; l’espansione nella regione e oltre delle attività sommerse, delle produzioni in nero, delle economie semilegali le quali configurano un insieme differenziato di beni e servizi prodotti e distribuiti in forme illegali da imprenditori che trovano più conveniente «interagire» con la camorra piuttosto che attirare l’attenzione dello Stato sui profili illegali delle attività svolte.(..)

Il capitale sociale
La camorra si sviluppa e cresce perché può contare sulla produzione di un intenso e forte capitale sociale. Ossia, sulla produzione di un insieme di risorse immateriali (...) che utilizzando la tradizione, la subcultura deviante, la stessa religione, il valore dei riti sociali garantisce la forza, la riproducibilità e la stabilità parziale del clan. (...) Queste risorse simboliche alimentano in forma vincolante l’agire sociale di queste comunità avide più di quanto possa fare il riferimento a norme universalistiche siano esse civili, religiose o ideologiche. I risultati positivi sono tali per gli afferenti che il self-interest ne viene rafforzato e s’indebolisce il richiamo al bene comune. (...)La forza di questo capitale sociale si giova del fatto che le società locali non hanno prodotto per contrasto una forte coscienza civile (a livello di sfera pubblica, di istituzioni politiche, di società civile, di organizzazioni economiche, di istituzioni culturali) consapevole della gravità della presenza di tali fenomeni, né una costante, attenta e illuminata mobilitazione a sostegno dell’operato delle forze di polizia, della magistratura, di quanti si danno da fare per combattere ogni forma di illegalità. (...)

Come uscirne?
Occorre che la magistratura aggredisca i capitali e i patrimoni illeciti accumulati; siano arrestati i latitanti (simbolo della sconfitta dello Stato); si intervenga significativamente nelle periferie delle aree urbane attraverso l’azione della scuola, del volontariato, dei gruppi civili; sia prodotto un più efficace controllo legale e sicuro del territorio; ci sia una forte stigmatizzazione sociale di tutte quelle figure che cooperano, fanno affari e colludono con i gruppi criminali (imprenditori, professionisti, politici, ecc.); sia prodotta una maggiore sinergia fra la sfera investigativa e quella «analitica» (del mondo della ricerca sociale) per ideare nuove e più efficaci politiche di contrasto e sicurezza.

di Giacomo Di Gennaro, «Corriere del Mezzogiorno» Dossier dell'Osservatorio sulla camorra e sull'illegalità, 12 novembre 2009.

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