sabato 24 ottobre 2009

Dambisa Moyo denuncia: Gli aiuti salvano i dittatori e condannano l'Africa

«Gli aiuti occidentali all' Africa hanno avuto il solo effetto di trasformare una terra già povera in una ancora più povera. Oggi il 50% degli africani vive con meno di un dollaro al giorno, vent' anni fa la percentuale era la metà». Dambisa Moyo, 40 anni, nata e cresciuta a Lusaka, capitale dello Zambia, potrebbe essere la personificazione del riscatto di un continente: laureata in scienze politiche ad Harvard, PhD in finanza ad Oxford, economista prima alla Banca Mondiale e poi alla Goldman Sachs, è stata inserita dalla rivista Time (edizione dell' 11 maggio) fra le cento most influential people del mondo a fianco di Barack Obama e Paul Krugman. È venuta a Torino invitata dalla Scuola di formazione dell' Onu a tenere una conferenza sulla leadership. Assertiva, sicura di sé, applaudita e rispettata. E invece trasuda amarezza: «In Zambia non potrei tornare. Ci vado quattro volte l' anno, ho lì i miei genitori e tutta la famiglia, ma che lavoro andrei a fare?» E tutto questo, sostiene, è dovuto alla cornucopia di elemosine con cui il mondo industrializzato tiene al laccio l' Africa. Ora ha scritto un libro, Dead Aid, che rovescia le posizioni del Live Aid: sostiene che gli aiuti fanno più male che bene all' Africa. Infatti l' anno chiamata l' antiBono. Ma che male fanno tutti questi artisti che raccolgono fondi per l' Africa? In fondo sono soldi, e con i soldi si costruiscono scuole, ospedali, infrastrutture... «Guardi, tutte queste celebrities, Bono, Bob Geldorf, Angelina Jolie, Madonna, intanto si fanno una gran pubblicità a spese dell' Africa. Poi hanno la pretesa di parlare a nome dei paesi africani nelle sedi internazionali, quando ognuno di questi paesi ha un suo governo che dovrebbe essere legittimato ad esprimere le istanze del paese che rappresenta. Ancora, fanno filtrare un messaggio eternamente negativo: l' Africa è secondo loro solo un continente di guerre, malattie, sciagure di ogni tipo. Ora, non dico che la situazione è l' opposto, figuriamoci, ma qualcosa di positivo accade pure. Infine, ed è il vero nodo, anche i fondi da loro raccolti finiscono in quel gran calderone di aiuti che è la vera sciagura dell' Africa». Ecco il punto centrale: gli aiuti fanno male. Ma non è una contraddizione in termini? «Le rispondo con un fatto. Negli ultimi 60 anni sono stati erogati sussidi per oltre mille miliardi di dollari. Le sembra che questi siano serviti a migliorare le condizioni di vita del continente? La situazione non solo è peggiorata ma è affondata oltre ogni ragionevole limite. E questo è tanto più irritante se si pensa che il 60% degli africani, che sono più di un miliardo di persone, ha meno di 24 anni. È una gioventù immensa, che sarebbe piena di entusiasmi, di voglia di fare, di attivismo. E invece è calata in una realtà avvilente che non riesce ad uscire dal baratro». Qual è il meccanismo per cui gli aiuti si trasformano in un danno? «Il primo e più conosciuto è che finiscono nelle tasche di dittatori spregiudicati e sanguinari anziché essere distribuiti alla popolazione. Il solo Mobutu, presidente dello Zaire dal 1965 al 1997, ha rubato almeno 5 miliardi di dollari al suo paese. Ma gli esempi sono un' infinità. Per restare a quelli più vicini a noi, il mese scorso il presidente del Malawi, Bakili Muluzi, è stato accusato di aver intascato 12 milioni di dollari di aiuti. E l' ex presidente del mio paese, lo Zambia, Frederick Chiluba, che è stato un prediletto dall' occidente per tutti gli anni della sua reggenza dal 1991 al 2001, è tuttora coinvolto in un caso giudiziario sotto l' accusa di aver sottratto milioni di dollari alle strutture sanitarie ed educative cui erano destinati. E vogliamo parlare di Mugabe dello Zimbabwe, o di tanti altri dittatorelli sparsi in tutto il continente? Almeno per Mugabe gli aiuti sono congelati, ma per tutti gli altri continuano a fluire assolutamente senza controllo. Sono soldi dei contribuenti europei o americani: come diceva l' economista ungherese Peter Bauer significa sottrarli dalle tasche dei poveri nei paesi ricchi per infilarli in quelle dei ricchi nei paesi poveri». La sua accusa però va ben oltre... «Anche astraendoci da questi casi perversi, gli aiuti determinano tutto un meccanismo che chiamerei di welfare. Ecco, l' Africa è un continente sotto un regime di welfare. I governi sono demotivati dall' assumere iniziative di vero sviluppo, di vera crescita del tessuto industriale, agricolo e dei servizi, perché sanno che comunque verranno rifinanziati presto dal generoso occidente. Pensano piuttosto a creare intanto degli eserciti forti perché fanno sempre comodo a chi è al potere, e poi delle strutture burocratiche ameboidi che hanno il solo scopo di conservare lo status quo, perché la condizione attuale è quella che più conviene: restare sottosviluppati perché così arriveranno presto altri aiuti, e poi altri e poi altri. I governanti perdono tutto il loro tempo a corteggiare i potenziali donatori, disinteressandosi delle vicende interne. È un circuito diabolico di assistenzialismo che toglie dignità, non serve alla crescita e occorre assolutamente spezzare». Ma come? Lei contempla nel suo libro l' ipotesi di congelare per cinque anni tutti gli aiuti... «Sì, ma probabilmente sarebbe più realistico intraprendere un preciso scadenzario, e fissare paese per paese un giorno, cominciando ovviamente dai meno poveri, in cui gli aiuti cessano. Pensi all' India: nel 2004 il governo chiese all' occidente di smettere di inviare aiuti. Da quel momento il paese si è trasformato in uno dei più straordinari esempi di sviluppo del pianeta». Però non potrà negare che con gli aiuti si è riusciti a portare a scuola tanti bambini, e drammatiche malattie sono state sconfitte... «Ma infatti ci sono dei casi umanitari e di vere emergenze in cui gli aiuti servono, come d' altronde in tutto il mondo. Ma questi sono una minima parte della valanga di flussi di denaro che investono l' Africa senza costituire una piattaforma di sviluppo sostenibile di lungo termine. Io accuso soprattutto gli aiuti diretti da governo a governo. È diventato un immenso business dove ci guadagnano tutti tranne l' Africa: le "benemerite" fondazioni americane, le multinazionali alimentari, le organizzazioni non governative». Anche le ONG? «Lo sa quanto dei fondi stanziati da queste organizzazioni finiscono realmente alle popolazione africane? Il 20%. Per non parlare dei meccanismi degli aiuti agroalimentari: i sussidi non vanno direttamente al paese ma alle multinazionali. Le quali con essi si pagano dei raccolti cresciuti in America e poi inviati via cargo in Africa. Ma non sarebbe più logico e infinitamente meno dispendioso sovvenzionare gli agricoltori africani perché crescano in loco frutta e cereali? E i meccanismi della politica agricola europea sono appena in parte diversi. Questo anziché benessere diffonde tensioni, rende i paesi vulnerabili sia sotto il profilo economico che della sicurezza: dall' inizio dell' anno ci sono stati già quattro colpi di stato, in Guinea, GuineaBissau, Mauritania e Madagascar». Insomma, quali suggerimenti darebbe a chi vuole genuinamente aiutare, non sussidiare, l' Africa? «C' è bisogno di investimenti veri, che alimentino attività produttive in loco e correnti di scambio paritarie. È quello che ha cominciato a fare la Cina, probabilmente perché avulsa da qualsiasi passato coloniale. Ci sono per esempio già quindici Borse valori in Africa, e lì dovrebbe intervenire l' occidente, nell' incentivare la nascita di nuovi mercati, non solo delle azioni ma delle obbligazioni. Poi andrebbero studiate e delle lineeguida per rendere attrattivi agli investimenti produttivi in queste terre, e se del caso finanziarli con tecniche di microfinance tipo quella della Gremeen Bank del Bangladesh. Oggi nella media dei paesi per intraprendere un' attività ci vogliono due anni e decine di permessi. In America, i giorni sono 40. Ecco, qui e in tanti altri casi si deve lavorare insieme. Altro che aiuti a pioggia». Dambisa Moyo, economista formatasi ad Harvard e Oxford, vive fra Londra, dove ha lavorato per otto anni fino allo scorso autunno nel dipartimento debt capital markets della Goldman Sachs, e New York dove fa parte del consiglio della Lundin for Africa Foundation, che sta investendo 100 milioni di dollari in iniziative di "microfinanza" in Africa, viste come primo passo per poi convogliare investimenti maggiori e di buon valore aggiunto. Fra i suoi studi, le ricerche sulle valute africane, e sui criteri per evitare un indebitamento troppo pesante in monete occidentali che espone questi paesi alle turbolenze dei mercati valutari oltre a favorire l' inflazione interna.

di EUGENIO OCCORSIO, «la Repubblica Affari&Finanza» 18 maggio 2009

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