domenica 11 ottobre 2009

Rassegna stampa: Nella frontiera degli italiani indigenti per mangiare solo 50 euro al mese

Mangiano con cinquanta euro. Al mese. Tre milioni gli italiani oggi vivono così e la povertà, ai tempi della crisi, si declina sempre più al femminile visto che tra loro le donne sono il 75%. Madri di famiglia o pensionate, single, operaie o precarie costrette ad arrangiarsi tra inventiva e rinuncia perché soldi non ce ne sono più già alla terza settimana. Donne che come sogno nel cassetto ad un viaggio esotico preferiscono più concretamente una cura dal dentista o cibo di miglior qualità. Storie di un' Italia nascosta e reale. Storie di gente che anche se lavora riesce a tirare avanti solo grazie ai pacchi viveri, alle ottomila associazioni che distribuiscono le 60mila tonnellate che la rete del Banco Alimentare raccoglie ogni anno. Padri separati, operai e pensionati aiutati dal Banco (che raggiunge un milione e mezzo di persone) hanno svelato sogni e debiti, studi passati e lavoro presente o perduto, in una ricerca della fondazione per la Sussidiarietà. Per dare un' immagine reale di chi vive sotto la soglia di povertà alimentare, stabilita in 222 euro a coppia anche se la media del paese è di 155 per tre persone. Un lavoro dettagliato che verrà presentato giovedì in Campidoglio alla presenza del ministro alle Attività produttive Scajola, ministro dell' Agricoltura Zaia, del presidente del Senato Schifani e del cardinal Bagnascoe del banchiere Passera. «Un' indagine dalla quale si capisce che il povero non è, come vorrebbe il luogo comune, chi non ha voglia di lavorare ma gente soprattutto sola, entrata in crisi economica perché ha perso il posto o una persona cara, ha subito un lutto o una separazione. Senza reti familiari e sociali si finisce su un crinale dal quale è difficile riprendersi» dice Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione e tra gli ideatori della Compagnia delle Opere. Che questa ricerca mira a creare un Osservatorio permanente sulla povertà che «fornisca alle istituzioni e alla politica strumenti per una azione animata da un ideale di giustizia e non da un assistenzialismo sterile. Perché tutti all' improvviso possiamo diventare poveri in una società dove se si perde il lavoro a 50 anni è difficile riprendersi senza aiuti, dove la sanità non è pensata per i malati cronici o le madri sole. Dove chi il lavoro non ce l' ha o l' ha perso tutele non ne ha». Non è comunque la perdita del posto (59%) l' unica causa della «caduta in stato di povertà». Lo raccontano gli intervistati: nel 30% dei casi dietro l' inizio della crisi economica c' è la morte di un familiare, un divorzio. O una separazione, come testimoniano molti padri che con un solo stipendio, pagato il mantenimento all' ex compagna e ai figli, non riesconoa trovare un alloggio decente dove vivere, finendo così nella precarietà. Come tante donne lasciate sole coi figli e che faticano a trovare lavoro avendo i piccoli a casa. E così se il 36% di chi viene aiutato dalla rete del Banco è sposato, il 20% è composto da vedovi e il 26% divorziati o separati. Tanti lavorano, i disoccupati sono solo il 37% tra gli italiani, 11% le casalinghe, 16,7 i pensionati. Con molta fatica sulle spalle e pochi anni sui banchi visto che il 7% non ha alcun titolo di studio, il 33 ha al massimo finito le elementari. Operai nel 77,6 per cento dei casi e nell' 8,6 impiegati. Costretti a faticare per pagare gli affitti perché solo il 34,7 vive in casa di proprietà. Nelle interviste raccontano una lotta continua e quotidiana tra debitie insolvenze: una persona su quattro è in arretrato con le bollette, una su cinque con l' affitto, il 5 per cento ha problemi a pagare il mutuo e altrettanti a fare la spesa. Tanto che in una settimana il 50% non mangia mai pesce e la dieta quotidiana è composta soprattutto da pane, pasta. Forse per questo alla domanda: «Cosa faresti se avessi mille euro al mese?», il sogno confessatoè semplicemente avere in tavola cibo di miglior qualitào una cura dal dentista (per il 40%). Un viaggio, arriva solo al terzo posto. - CATERINA PASOLINI, «la Repubblica» 6 ottobre 2009

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