domenica 11 ottobre 2009

Rassegna stampa: La rivincita dell' Unità d' Italia


SONO i Garanti dell' Italia unita, al loro compito cercano di rimanere fedeli. Così il nuovo documento proposto da un gruppo di studiosi raccolti intorno al presidente Carlo Azeglio Ciampi ha proprio il sapore di una correzione rispetto alle linee-guida presentate un mese fa dal ministro Bondi. Cominceranno il 17 marzo del 2011 le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell' Unità d' Italia. La data di avvio è stata proposta dal Comitato dei Garanti, che ieri ha reso pubblico il suo documento con i "suggerimenti" per il ministro Bondi. La rilevanza politica di questo nuovo atto consiste nel contrapporre alla "disunità" enfatizzata nelle linee guida del ministero, influenzato dai mal di pancia di Bossi (i localismi, la valorizzazione dei dialetti, le ombre del processo risorgimentale), una lettura che invece insiste sul carattere unitario della costruzione nazionale. E questo carattere unitario scaturisce da una tradizione storica che dal Risorgimento arriva alla Carta Costituzionale passando attraverso la stagione fondante della Resistenza. Quella che è emersa nei giorni scorsi dal Comitato dei Garanti - presieduto da Carlo Azeglio Ciampi e composto tra gli altri da Gustavo Zagrebelsky, Walter Barberis, Roberto Pertici, Simona Colarizi, Elena Aga Rossi, Ernesto Galli della Loggia - è una lettura della storia nazionale molto distante dagli umori della Lega o dalle interpretazioni neoguelfe cui pure è sensibile il presidente del Consiglio. Ora spetta al ministro Bondi tradurre in mostre, manifestazioni nelle scuole, musei virtualie fiction televisive questa lettura dell' identità nazionale. Ci saranno i soldi? E, soprattutto, ci sarà la volontà politica di valorizzare un' interpretazione della storia italiana così estranea alla visione dei governanti? Vediamolo in dettaglio questo bilanciamento. Intanto nel cappello del documento si specifica che queste celebrazioni devono trasmettere essenzialmente un «significato unitario», ossia il «patrimonio di identità e di coesione nazionale che gli italiani hanno maturato nella loro storia». Questo non significa trascurare «le difficoltà del percorso di formazione nazionale» o «problemi ancora irrisolti come il divario tra Nord e Sud» né significa appiattire «gli elementi di pluralità e diversità» molto esaltati dal ministro Bondi, ma tutti questi aspetti devono essere trattati entro una cornice solidamente unitaria, cementata da un' identità nazionale «che ha le sue radici nella formazione della lingua italiana», scrive Ciampi, «e che negli ultimi due secoli s' è sviluppata in una continuità di ideali e valori dal Risorgimento alla Resistenza alla Costituzione Repubblicana». Un capitolo centrale del documento investe le "istituzioni", questione ignorata nelle precedenti celebrazioni dell' Unità d' Italia. «L' unità di un popolo», vi si legge, «si misura sulla tenuta delle sue istituzioni, sulla capacità di fare di tante terre, distintee anche lontane, un territorio integrato». Parlare dell' unità d' Italia equivale dunque a parlare delle sue istituzioni unitarie, della loro attuale tenuta. Centocinquant' anni di trasformazioni profonde: «dalla monarchia alla repubblica; dall' oligarchia liberale alla democrazia aperta a tutte le classi; dallo Stato centralizzato alle autonomie territoriali, al federalismo; dalla emarginazione delle donne dalla vita pubblica e sociale alla loro partecipazione; dai diritti di libertà ai diritti sociali, la salute, il lavoro, l' istruzione; dallo Statoguardiano allo Stato del benessere; dalla separazione società-Stato alla "nazionalizzazione delle masse", allo Stato pluralista; dallo Stato confessionale alla laicità dello Stato». Il "documento riassuntivo" di questo percorso è la Costituzione, che dovrebbe assurgere a simbolo delle celebrazioni unitarie. Da queste considerazioni discende un' altra integrazione suggerita a Bondi dai Garanti: le manifestazioni non dovrebbero essere circoscritte al solo Risorgimento. La ricorrenza del 2011 investe la «vicenda italiana in tutta la sua unitarietà e interezza»: non solo dunque la lotta per l' indipendenza, ma anche il successivo consolidarsi dell' identità italiana lungo un secolo e mezzo, con speciale attenzione «al tratto del percorso unitario compreso negli ultimi sessant' anni». In questo quadro di riferimento - che valorizza anche la crescita di benessere legato al lavoro, il ruolo delle Forze Armate, la storia di genere - si potranno pure affrontare i singoli episodi, personaggi e luoghi geografici indicati dalla precedente bozza di Bondi (viaggi nella storia locale italiana, ritratti di statisti e artisti eminenti, luoghi delle memoria, targhe e monumenti riscoperti e puliti), elementi che tuttavia, sprovvisti della cornice unitaria, non sono più funzionali allo spirito delle celebrazioni. Conseguente a questa impostazione è anche la riflessione sui dialetti. «La valorizzazione delle lingue particolari», si legge nel documento, «è un fatto positivo se serve alla pluralità nell' unità; non ha invece alcuna relazione con le celebrazioni dell' Unità d' Italia, è anzi controproducente, se si riduce alla pura e semplice coltivazione di culture locali chiuse in sé, a vocazione folcloristica». Bondi aveva proposto il «censimento dei dizionari dialettali». Una "priorità dubbia", liquida il Comitato. Al momento Bossiè servito. La palla ora passa al ministero. - SIMONETTA FIORI, «la Repubblica», 7 ottobre 2009

6 commenti:

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  2. Vorrei evidenziare due frasi di questo articolo: a)"ci sarà la volontà politica di valorizzare un' interpretazione della storia italiana così estranea alla visione dei governanti?" b) «La valorizzazione delle lingue particolari», si legge nel documento, «è un fatto positivo se serve alla pluralità nell' unità; non ha invece alcuna relazione con le celebrazioni dell' Unità d' Italia, è anzi controproducente, se si riduce alla pura e semplice coltivazione di culture locali chiuse in sé, a vocazione folcloristica».
    Sembra davvero che la volontà della classe politica attualmente in carica sia quella di frammentare e disunire, in modo da poter applicare un "dividi et impera" che trae la sua forza dall'atomizzazione dell'opinione pubblica, allontanandola dalla visione del tutto (il funzionamento globale dello stato italia), grazie alla canalizzazione del suo interesse verso la singola realtà locale. Non, dunque, "pluralità nell'unità", ma lo sfruttamento di quei lati negativi dell' affermazione di identità, che trasforma tutto ciò che è "altro da me" in qualcosa di ostile e negativo a cui necessariamente bisogna contrapporsi. Tale rischio viene sottolineato dal Prof. F. Remotti nel suo libro "Contro l'identità (Laterza, Bari, 2001)": "a livello individuale e collettivo, l'identità può tendere a irrigidirsi e a cristallizzarsi fino al punto di chiudersi e misconoscere le connessioni con lo sfondo cui appartiene e con il flusso che permane al fondo di ogni vicenda."
    Matteo

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  3. Argomento interessante quello dell'identità. Molta filosofia del cosiddetto postmoderno, proveniente soprattutto dalla Francia e dall'Inghilterra, ha utilizzato il problema dell'irrigidirsi dell'identità anche in forme "retroattive", detto ironicamente, cioè per negare il valore storico della fondazione dello Stato italiano e per imputare proprio al Risorgimento e alla costituzione dello Stato-nazione l'aver dato un precedente dell'ideologia razzista, del colonialismo e della fobia dello straniero. Da questa prospetiva di lettura del Risorgimento, però, si rischia di oscurare completamente il significato antifeudale di quell'evento, lo sforzo di liberazione e di presa di coscienza del popolo italiano che, prima d'allora, era rimasto profondamente estraneo alla vita politica del proprio paese, così come era rimasto alieno dalle vicende della storia europea. Il Risorgimento era mosso dal desiderio degli italiani di fare l'Italia, di partecipare come parte attiva alla storia mondiale, di dare il proprio contributo di sapere e di cosicenza civile. Non a caso esso assurse a modello, a leggenda, per altri popoli in cerca di libertà, per il popolo romeno, ad esempio (si veda il libro dello studioso Stefan Delureanu "Risorgimento italiano e risorgimento romeno"). Tracciare una linea interpretativa tra il Risorgimento e l'avventura colonialista mussoliniana mi sembra un atto di falsificazione storica che può essere evitato leggendo le biografie e gli scritti degli uomini che pensarono (prima di farla) l'Unità d'Italia, da Garibaldi a Mazzini a Bertrando Spaventa, tutti animati da sentimenti di apertura, di fratellanza, di solidarietà verso gli altri popoli.
    Milena

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  4. La prospettiva che mi sembra più giusta, appunto, è quella dello storico Golo Mann che definì il Risorgimento il colpo più possente, più possente ancora della Rivoluzione francese, inferto al feudalesimo e alle forze più retrive che dominavano e opprimevano da secoli il nostro Paese. La linea storicamente più aderente ai rapporti di forza interni alla Penisola è quella tracciata dai garanti dell'Italia unita raccolti intorno a Ciampi: Risorgimento-Resistenza-Costituzione. Cioè si tratta dei momenti storici in cui l'unità delle forze lavoratrici, dai contadini agli operai fino ad arrivare a vari strati della piccola e media borghesia, si sono raccolti attorno all'idea dello Stato unitario italiano che solo poteva loro i diritti contro i privilegi dei ceti dominanti della rendita parassitaria legata al latifondo e dell'industria settentrionale fin troppo spesso dipendente dalle commesse pubbliche e da aiuti di Stato che erano possibili soltanto grazie allo sfruttamento e alla riduzione alla fame dei contadini e ad una vita grama e misera per una ampia fascia di italiani. Cercherò (e spero davvero di farcela...) di continuare nei prossimi giorni. Cari saluti!
    Antonio

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  5. Ah! Dimenticavo di chiarire, infine, quello che molto schematicamente e rozzamente potrebbe essere un abbozzo di quadro storico considerando due linee: 1) Rivoluzione-Risorgimento-Resistenza-Costituzione; 2) Reazione-Feudalesimo-Fascismo-Dittatura dei poteri forti(faccio qualche esempio: loggia P2, organizzazioni criminali, grandi multinazionali [vedi Impregilo], amministrazioni pubbliche deviate, commissariati d'emergenza con poteri straordinari, una galassia di esponenti di partiti di tutto l'arco politico nazionale, imprenditoria collusa con la mafia... e si potrebbe ancora continuare... devo andare. A presto!
    Antonio

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  6. Credo sia utile citare un passo di Luigi Salvatorelli da Pensiero e azione del Risorgimento (pp. 41-43)che vedeva nel moto riformatore del Settecento l'avvio più prossimo di quello che sarebbe poi divenuto il Risorgimento; un risorgimento spirituale: «[...] Possiamo dire che i suoi [del periodo delle riforme] caratteri essenziali siano: antifeudalesimo, massimo in Lombardia, minimo nel Napoletano; organizzazione amministrativa uniforme e accentratrice, sopra il caos delle legislazioni e degli istituti e delle stratificazioni delle consuetudini privilegiate; anticlericalismo, o meglio anticurialismo, cioè riduzione del potere della Chiesa, e più precisamente del pontefice, a favore dello Stato, con spunti di riformismo ecclesiastico che verso la fine del periodo presero in Toscana quegli sviluppi che tutti sanno [...]; tolleranza religiosa e incipiente laicizzazione dello Stato e della vita sociale; umanitarismo spiegantesi soprattutto nell'addolcimento delle leggi penali, fino all'abolizione leopoldina della pena di morte. Sono gli stessi caratteri che riscontriamo, dal più al meno, nelle riforme degli stati fuori d'Italia. [...] Questo moto italiano, nel campo pratico e nel teorico, è schiettamente europeo:l'Italia lo riceve dal di fuori con i principi riformatori stranieri (anche se coadiuvati vigorosamente dai ministri paesani). [...] Filosofia e ragione sono le dèe del pensiero settecentesco italiano come di quello inglese, francese, tedesco; e l'Italia va a scuola almeno dal primo e dal secondo. L'Italia riceve il pensiero di oltralpe, lo assimila, lo rinforza con i succhi del proprio terreno, stimolati dall'innesto esterno. L'Italia del Settecento ripiglia i fili interrotti della sua tradizione; il Risorgimento si riattacca al Rinascimento. Ma il riattacco non è fatto direttamente, rimanendo sul suolo nazionale; esso si compie attraverso l'Europa. Ricongiungendosi all'Europa, dopo l'isolamento controriformistico e seicentesco, l'Italia comincia a ritrovare se stessa».
    Un abbraccio a tutti!
    Antonio

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