sabato 31 ottobre 2009

Un mare di pesce velenoso nella pattumiera del mondo

Risale al 27 ottobre scorso l’ultimo rapimento dei pirati somali, ai danni di uno yacht inglese. Una lista interminabile, che ci riguarda da vicino; i casi di rapimenti di italiani sono stati moltissimi, a incominciare dalla famosa Boucanier. Pirati, sì certo. Ma alcuni di questi gruppi rivendicano per sé il titolo di eroi nazionali. Per capirne di più dobbiamo ritornare al 20 marzo 1994, quando venne uccisa la giornalista della Rai Ilaria Alpi a Mogadiscio. Nonostante quanto assodato dalla commissione parlamentare di inchiesta in Italia, altre indagini indipendenti avrebbero dimostrato che la Alpi aveva scoperto il traffico europeo di rifiuti radioattivi in Somalia.

Quella che, all’epoca, suonava come un’ipotesi investigativa minoritaria, oggi sembra essere confermata dalla nostra esperienza recente; fatta di ecomafie che insozzano il pianeta, dall’Africa alla Calabria. Nel 2004, si avvalorano le ipotesi della Alpi. Uno tzunami sventra le spiagge somale e rivela i rifiuti radioattivi. Le Ong, i Verdi e i giornalisti si mettono all’opera. L’eurogruppo dei Verdi presenta al Parlamento di Strasburgo copie di contratti sottoscritti dalla italo-svizzera Archair Partners e dall’italiana Progresso. In quei documenti emerge come si prezzolasse il corrotto governo locale somalo, a suon di 80 milioni di dollari, per consentire lo sversamento illegale di 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici europei.

Il vaso di Pandora era stato scoperchiato; nel 2008, Al Jazeera pubblica le conclusioni di tecnici Onu dell’Unep (programma delle Nazioni unite per l’ambiente). L’esperto Ahmedou Ould-Abdallah dichiara pubblicamente che quelle che, nei primi anni Novanta, erano solo illazioni, ora sono ipotesi documentate dall’Onu. «In Somalia, aziende europee e asiatiche hanno sversato anche rifiuti nucleari». Nick Nuttal, dell’Unep, sottolinea come «le aziende europee trovino molto conveniente sbarazzarsi dell’immondizia in Somalia; con costi pari a 2,5 dollari a tonnellata, contro i circa mille dollari del marcato legale». Nei fondali africani si può trovare mercurio, uranio, cadmio, rifiuti chimici e farmaceutici, ospedalieri, industriali. I risparmi nello smaltimento dei rifiuti sono tali da rendere conveniente anche l’inabissamento di intere navi, come è emerso dal caso delle “navi dei veleni” in Calabria.

Nel 2005, infatti, il quotidiano inglese The Independent aveva intervistato il pirata somalo Segule Alì che dichiarava: «Non ci consideriamo banditi. Sono banditi quelli che hanno sversato e pescato illegalmente nelle nostre acque». Emergeva, infatti, anche un altro elemento. Dallo scoppio della guerra civile in poi, il governo non riesce a garantire il controllo delle acque territoriali. E alcune aziende europee giungono qui a pescare illegalmente; nello stesso mare dove abbandonano rifiuti radioattivi. La situazione è tale che, il 10 ottobre 2008, il Chicago Tribune pubblica un’intervista al professore Peter Lehr che conclude: «È una sorta di compensazione informale. I pirati ricavano 100 milioni di dollari l’anno dai rapimenti a danno di europei e asiatici. Questi ultimi si appropriano di 300 milioni di dollari in pesce proveniente dalla Somalia».

Ecco perché i pirati vengono percepiti come degli eroi nazionali che proteggono il territorio dalle soverchierie dei ricchi, a difesa delle comunità locali e contro un governo nazionale corrotto che tollera le incursioni piratesche del “mondo ricco”. L’anno scorso, infatti, l’Associated Press pubblicava un report dei giornalisti Mohammed Hassan e Elizabeth Kennedy che testimoniava il consenso dei pirati presso le comunità; perché è nel territorio che i pirati spendono i proventi delle loro scorrerie. Nel 2008, la Bbc e il quotidiano britannico Guardian partono con una serie martellante di inchieste: svelano come i pirati siano, infatti, in larga parte, ex pescatori impoveritisi a causa della pesca di frodo altrui.

Emergono le responsabilità di imprese europee di ogni Paese. Sembrerebbe che sia lo stesso governo, quello non riconosciuto della provincia separatista somala del Puntland, ad appoggiare i pirati per esercitare quella sovranità sulle coste che non attua, per convenienza, il governo di Mogadiscio. Quello che, oggi, si sta delineando con grande chiarezza è che il “Nord ricco del mondo” ha utilizzato i “Sud” come pattumiera. Le aziende europee, più brillantemente, hanno sversato in Africa. Quelle italiane, come raccontato in Gomorra di Saviano e secondo quanto viene a galla dalle inchieste iniziate dal compianto capitano Natale De Grazia, addirittura in Italia. Ma la lontananza non deve trarre in inganno. Un’altra zona vessata dalle discariche è il Vietnam: da dove proviene l’economico pesce pangasio, vero recente bestseller della grande distribuzione in Italia. Ma i conti, prima o poi, si pagano. Sempre.

di Alessio Postiglione, «Terra», 29 ottobre 2009

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